giovedì 28 ottobre 2010

Ornella de Zordo - Se il dissenso diventa un crimine



Editoriale di Ornella de Zordo pubblicato sull'edizione fiorentina di Repubblica il 28 ottobre 2010.
Fonte:
perunaltracitta.org

È un pessimo segnale quando il dissenso e la protesta sono affrontati da parte delle autorità come fenomeni da criminalizzare. Firenze non ha seri problemi di ordine pubblico — tutti i dati ufficiali lo attestano — eppure in certi casi la libertà d'espressione e di critica, diritti garantiti dalla nostra Costituzione, sono pesantemente messi in discussione.
Poche settimane fa manifestazioni studentesche svolte in assoluta tranquillità, ma con gli inevitabili disagi per il traffico, danno origine a denunce e multe di migliaia di euro nei confronti dei ragazzi e delle loro famiglie; come conseguenza piazza san Marco, luogo storico per le iniziative studentesche, viene dichiarata inagibile in via preventiva per decisione prefettizia.
Motivi di sicurezza? In Italia stiamo vivendo in una fase in cui i diritti riconosciuti dalla prima parte della Costituzione vengono rimossi; quella stessa Costituzione che all'art. 11 ripudia la guerra e che nel maggio del 1999 veniva difesa qui a Firenze da centinaia di manifestanti contrari alla guerra del Kosovo. Una normale manifestazione di dissenso in un paese civile e democratico che per 13 manifestanti fiorentini diventa un vero incubo.
Quel 13 maggio il corteo si chiude pacificamente, fino a che una improvvisa carica delle forze dell'ordine non investe i manifestanti, alcuni dei quali rimangono feriti. Diversi finiscono al pronto soccorso, una ragazza rischia di perdere un occhio, colpita a terra col calcio del fucile. Ma non finisce qui. 13 persone, non fermate per fatti specifici, vengono individuate a posteriori, denunciate, processate per resistenza a pubblico ufficiale, e condannate a ben sette anni di carcere. Anche se le testimonianze di altri partecipanti, tra cui consiglieri comunali e regionali, e la documentazione video esistente, dicono il contrario.
L'assoluta sproporzione fra quanto successo e la pena inflitta salta agli occhi, e risulta chiaro come si sia calcata la mano oltre ogni limite — peraltro in assenza assoluta di prove materiali — per colpire non tanto un comportamento, quanto la libera espressione di critica alle politiche di guerra del Governo.
Laddove c'era una protesta si creano criminali, si dà una lezione, si lancia un messaggio: il dissenso non è ammesso, bisogna adeguarsi, o si è fuori, banditi.
Messaggio che giunse chiaro e forte nel 2001, a Genova. Così si ha il paradosso che nel paese in cui il presidente del Consiglio fugge i processi che lo vedono imputato, in cui 60 miliardi di euro l'anno alimentano la corruzione e altri 130 l'evasione fiscale in una impunità pressoché assoluta, si sostiene una condanna a sette anni per la partecipazione a una manifestazione contro la guerra. Vi pare accettabile?
L'idea di giustizia che abbiamo, quella nella nostra Costituzione, quella propria di uno Stato democratico, non può che essere altra cosa. Ora, il 5 novembre, c'è il processo di appello, l'occasione per restituire un senso a questa vicenda, e non solo. Ci auguriamo che questa occasione venga colta.

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