lunedì 17 dicembre 2012

21 dicembre - Presentazione di ''Le voci di piazza Tahrir'', con Vincenzo Mattei

Venerdì 21 dicembre al CPA fi-sud alle ore 18.00
presentazione del libro “Le voci di piazza Tahrir”, alla presenza dell'autore Vincenzo Mattei.
A seguire aperitivo e cena popolare.
Invitiamo tutti a partecipare per comprendere e sostenere la lotta del popolo egiziano contro ingiustizia e sfruttamento.

Le proteste dei lavoratori egiziani sono state determinanti per la caduta di Mubarak. La prima scintilla della rivolta è venuta da una ondata di proteste popolari contro l'aumento dei prezzi e la disoccupazione. Durante lo sciopero di Mahalla nell'aprile 2008 gli operai, dopo aver ingaggiato una vera e propria battaglia con la polizia, per la prima volta distrussero ogni immagine del dittatore nella città. Poi, nel corso della “rivoluzione di gennaio”, i grandi scioperi del 9 e 10 febbraio 2011 hanno determinato direttamente la caduta del regime: di fronte alla minaccia di uno sciopero generale, che avrebbe coinvolto le fabbriche di proprietà dell'esercito, i generali immediatamente costrinsero Mubarak a dimettersi.
Oggi l'opposizione popolare al colpo di mano islamista in Egitto rende a tutti evidente che la partita aperta dalle rivolte arabe non si è chiusa con la caduta dei dittatori. Le proteste in corso in Egitto, come in Tunisia, hanno cause ben chiare. I proletari riempiono di nuovo le piazze perché gli slogan popolari "libertà, pane, giustizia sociale" sono rimasti inascoltati. Non poteva essere diversamente, visto che i Fratelli Musulmani (FM) e i loro alleati, che hanno assunto il potere in Egitto, Tunisia, Libia, sono espressione di interessi capitalistici come lo erano Mubarak e gli altri dittatori, e perseguono le stesse politiche di austerità e di repressione verso i lavoratori e i sindacati. I governi islamisti reprimono gli scioperi, arrestano lavoratori e sindacalisti, attaccano sedi sindacali e manifestazioni ricorrendo allo squadrismo degli integralisti. I FM egiziani in particolare approvano leggi per la “protezione della rivoluzione” che criminalizzano chi sciopera e che impediscono ai lavoratori di organizzarsi liberamente nei sindacati, aumentano le tasse sui ceti popolari, tagliano la spesa statale, lasciano mano libera ai padroni di licenziare e reprimere.
La continuità con il passato è ben simboleggiata dal multimilionario Khairat Saad El-Shater, vicepresidente e principale finanziatore dei FM egiziani. Né deve essere dimenticato il ruolo delle petromonarchie del Golfo, alleate dell'Occidente e finanziatrici dei gruppi islamisti a livello internazionale.
Molte forze interne ed esterne, primi gli USA, si sono preparate per anni a governare la transizione egiziana, nel caso di caduta del regime, secondo i propri interessi. Non è un caso se i FM sono emersi come la forza politica più organizzata dalla rivoluzione di gennaio 2011. Sotto Mubarak è stato permesso loro di presentarsi alle elezioni e di organizzare la propria presenza nella società. Oggi con il colpo di mano di Morsi la nuova borghesia egiziana, riunita sotto insegne islamiche, vuole capitalizzare la forza acquisita per imporre una costituzione tanto liberista nella sfera dei rapporti economici quanto reazionaria nella sfera dei rapporti sociali.
Le azioni dei FM egiziani devono peraltro essere inquadrate nel progetto politico internazionale dei FM per l'area mediorentale e nordafricana, che emerge oggi con sempre maggiore chiarezza. Questo progetto persegue l'unificazione politica dell'area sotto le insegne del panislamismo ricorrendo a tutti i mezzi disponibili, non esclusi la guerra civile e il sostegno all'intervento militare dei paesi NATO, come in Libia e in Siria. L'obiettivo strategico è l'integrazione reciproca delle economie arabe e la loro apertura verso il mercato mondiale in un'ottica neocapitalista e neoliberista. Perciò I FM guardano all'esempio della Turchia dell'islamista “moderato” Erdogan come modello di borghesia islamica forte, capace di trattare con le borghesie occidentali su un piano paritario, ma allo stesso tempo favorevole ad una maggiore integrazione strategica dell'area nel sistema occidentale, secondo le linee del "grande medio oriente" teorizzato dagli USA.

Le promesse generiche di democrazia non possono soddisfare chi lotta per pane e giustizia sociale. I lavoratori e i proletari egiziani conoscono bene i FM e la loro politica neocapitalista e filo-occidentale, perciò la loro risposta all'elezione di Morsi non si è fatta attendere. Durante i primi 3 mesi della presidenza Morsi ci sono stati oltre 900 scioperi. Dall'inizio della rivolta, nonostante le difficoltà e la repressione, i lavoratori hanno costituito 500 sindacati indipendenti, che lottano per migliori condizioni salariali e di lavoro, per sanità e pensioni, per le nazionalizzazioni. I proletari egiziani rifiutano la normalizzazione neocapitalista degli islamisti. Per questo sono in prima fila nelle proteste contro Morsi. Per questo la loro lotta è la nostra lotta.

Centro Popolare Autogestito Fi-Sud

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