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Sergio Doretti era tra le reclute che furono costrette ad assistere alla scena.
"Mi chiamo Sergio Doretti, e sono nato a Collesalvetti nel 1925. Io ed altri quando ci chiamarono di leva ci si dette dapprincipio alla macchia; mi arrestarono la mamma per costringermi a presentarmi al distretto, e mi mandarono a Firenze alla caserma di via Tripoli.
Una mattina ci svegliarono, ci fecero salire sui camion e ci portarono allo stadio. Tra di noi si scherzava, mica si sapeva della fucilazione per mònito. Quando si videro quei cinque ragazzi legati alle sedie tutti urlarono assassini: e arrivò un sottufficiale che passava tra le file pestandoci i piedi per farci stare zitti.
Il plotone sparò a casaccio, chi in aria, chi in terra... perché a fucilarli avevano messo dei richiamati delle ultimissime leve, come eravamo noi che si doveva assistere. All'ufficiale che comandava tremavano le mani, non riusciva con la pistola a dare i colpi di grazia. Ad un certo punto arrivò Mario Carità che lo spinse da parte, e gli ultimi colpi di grazia li dette lui.
Si piangeva come bambini piccini e a questo punto svenni, come svennero tanti. E' stata una tragedia, una di quelle cose che si ricordano tutta la vita. La cosa ci levò ogni possibilità di parlare sulla via del ritorno: non mi ricordo il tragitto, come se quella oscenità avesse cancellato tutto.
Era un ventidue marzo luminoso, primavera da un giorno. Ma fu come se il terrore e la morte fossero venuti a soffocare la stagione e a mettere al suo posto una che non portava né amore né vita.
I prati vicino allo stadio erano pieni di fiori quando si arrivo. Poi erano tutti calpestati. Come lo furono i cinque fiori del Mugello."
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Naši gradovi, gradovi jedinstve i slobodne Jugoslavije!
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