Cinque novembre 2010. Una serata già di per sé migliore di tante, con il tutto esaurito a cena e al concerto perché i BanPay hanno un giro mica da ridere. Invece c'è stato ben altro, da festeggiare in santa pace con il pastis e il Cap Corse e con le tante persone che hanno calorosamente sostenuto per tutti questi anni i tredici imputati su cui pendeva una sentenza oscena.
C'è stato da festeggiare con Marcello, anni ottantatré passati a non cedere, e con Luca, giorni dieci.
Ci sono stati i cori e le battute sarcastiche, le congratulazioni e gli evviva. Canzoni di chi non ne può più delle divise blu su un'aria כּלי־זמיר, cantata dall'umanità a misura di שטעטל che fa del CPAFiSud una realtà più viva che mai. E un fuori i compagni dalle galere riveduto e corretto che non ne prevede la sostituzione coi soliti noti, ma direttamente con un bel mucchio di macerie.
C'è stato posto per l'ironia di chi ha accolto la notizia con un "...Ma come 'tutto prescritto'?! E adesso me lo dite cosa diavolo ce ne facciamo di tutte queste arance...?!".
Anche questa volta, tutto alla faccia dei fasciofancazzisti del solito giro coi loro articolini e i loro giornalini e le loro dichiarazioni e le loro interrogazioni e le loro mozioni e i loro plausiallefozzedellòddine, ché questa volta possono ficcarsi ogni cosa laddove la schiena prende un certo nome. E poi ci diano pure un bel girodivite di tolleranzazzèro, ci diano.
Una festa attesa da due anni buoni ma in definitiva da quel tredici maggio di undici anni fa. Tanti dei presenti se li ricordano benissimo quei giorni, con le prove generali della democrazia da esportazione avallate da gente che si picca di essere di "sinistra". I mass media già impestati di filmatini col trucco, di quei treni di Grdelicka che sono diventati ordinaria amministrazione, e i tempi che si preparavano già ampiamente divinabili allora. Con i bombardieri che mandavano in pezzi le Трг маршала Тита e le преко братства и јединства in mezzo al plauso e alle spartizioni a tavolino decise dai potenti, intanto che i signori nessuno di Belgrado e di Kragujevac occupavano i ponti perché non finissero bombardati o si rimboccavano le maniche e rimettevano in piedi la Zastava distrutta.
E tanti dei presenti, la sera del cinque novembre, undici anni fa erano bambini o ragazzini. Magari venuti solo per il reggae, e trovatisi in compagnia di gente che non si era mai piegata un istante e che non si è piegata un istante da allora.
Da quel tempo in cui in Europa c'era un'altra guerra, e per canzoni solo sirene d'allarme.
C'è stato da festeggiare con Marcello, anni ottantatré passati a non cedere, e con Luca, giorni dieci.
Ci sono stati i cori e le battute sarcastiche, le congratulazioni e gli evviva. Canzoni di chi non ne può più delle divise blu su un'aria כּלי־זמיר, cantata dall'umanità a misura di שטעטל che fa del CPAFiSud una realtà più viva che mai. E un fuori i compagni dalle galere riveduto e corretto che non ne prevede la sostituzione coi soliti noti, ma direttamente con un bel mucchio di macerie.
C'è stato posto per l'ironia di chi ha accolto la notizia con un "...Ma come 'tutto prescritto'?! E adesso me lo dite cosa diavolo ce ne facciamo di tutte queste arance...?!".
Anche questa volta, tutto alla faccia dei fasciofancazzisti del solito giro coi loro articolini e i loro giornalini e le loro dichiarazioni e le loro interrogazioni e le loro mozioni e i loro plausiallefozzedellòddine, ché questa volta possono ficcarsi ogni cosa laddove la schiena prende un certo nome. E poi ci diano pure un bel girodivite di tolleranzazzèro, ci diano.
Una festa attesa da due anni buoni ma in definitiva da quel tredici maggio di undici anni fa. Tanti dei presenti se li ricordano benissimo quei giorni, con le prove generali della democrazia da esportazione avallate da gente che si picca di essere di "sinistra". I mass media già impestati di filmatini col trucco, di quei treni di Grdelicka che sono diventati ordinaria amministrazione, e i tempi che si preparavano già ampiamente divinabili allora. Con i bombardieri che mandavano in pezzi le Трг маршала Тита e le преко братства и јединства in mezzo al plauso e alle spartizioni a tavolino decise dai potenti, intanto che i signori nessuno di Belgrado e di Kragujevac occupavano i ponti perché non finissero bombardati o si rimboccavano le maniche e rimettevano in piedi la Zastava distrutta.
E tanti dei presenti, la sera del cinque novembre, undici anni fa erano bambini o ragazzini. Magari venuti solo per il reggae, e trovatisi in compagnia di gente che non si era mai piegata un istante e che non si è piegata un istante da allora.
Da quel tempo in cui in Europa c'era un'altra guerra, e per canzoni solo sirene d'allarme.
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