OGGI COME IERI, CONTRO IL FASCISMO
CON OGNI MEZZO NECESSARIO
Anche quest’anno i neofascisti hanno convocato la loro marcetta
nostalgica per ricordare i cosiddetti “martiri delle foibe”. Il Giorno
del Ricordo, istituito nel 2004 dal Governo Berlusconi, è indubbiamente
diventato un appuntamento di propaganda per tutti i gruppi dell’estrema
destra: l’utilizzo di avvenimenti circoscritti nello spazio e nel tempo
ed estrapolati dal loro contesto, è chiaramente funzionale al tentativo
di riscrivere la storia, equiparando Partigiani e repubblichini e
spostando l’attenzione su un falso storico (le foibe) per cercare di
coprire i crimini commessi dai fascisti sia durante il ventennio che nel
dopoguerra.
Abbiamo sempre parlato dell’attualità dell’antifascismo e dei suoi valori, di quanto fosse importante la battaglia contro quel revisionismo che oggi sta diventando programma politico: non ci stupiscono quindi quelle dichiarazioni che, soprattutto in campagna elettorale, vorrebbero dipingere il fascismo come una rivoluzione che migliorò le condizioni delle classi popolari.
Niente di più falso. La presa del potere da parte del fascismo fu la sintesi dell’accordo tra liberali, padroni e banchieri, appoggiati dalla monarchia e dall’esercito, spaventati dall’avanzata delle forze socialiste. L’enfasi data oggi alle politiche sociali del fascismo non è altro che una stortura populista: l’Italia fascista si mosse come fecero altri paesi capitalisti, preparandosi dal punto di vista economico e sociale al colonialismo e la realtà fu quella di un popolo ridotto alla fame e al silenzio, costretto alla guerra nella produzione industriale prima e al fronte poi.
Chi decise di non abbassare la testa o più semplicemente non rispondeva ai canoni imposti dal fascismo venne purgato, pestato, torturato o fucilato. Altri vennero mandati al confino o direttamente deportati nei campi di concentramento.
Mussolini gestì da dittatore ogni tipo di opposizione, mettendo al bando qualsiasi libertà associativa, sindacale e politica mentre le organizzazioni dei lavoratori furono messe fuori legge. Secondo il fascismo, padroni e operai, avendo gli stessi interessi (sic!), avrebbero dovuto collaborare per il bene della nazione. E’ impressionante, quanto tutto questo, sebbene in forme, modi e tempi diversi, sia pericolosamente simile al nostro presente: basti pensare al “modello Marchionne” applicato in FIAT e che si sta allargando a tutto il mondo del lavoro e alla società in genere.
A liberarci dal fascismo furono i Partigiani sostenuti anche dal sostanziale appoggio dei contadini nelle campagne e degli operai nelle città. A liberarci furono quei compagni e compagne che non riuscirono a costruire la società che avrebbero voluto, ma che continuando a lottare anche nell’immediato dopoguerra passarono il testimone alle generazioni future.
Sin da subito lo Stato democratico si mostrò non meno incline all’uso della forza e della violenza poliziesca contro quei movimenti che soprattutto negli anni ’60 e ’70 dettero vita alle lotte che condussero alle conquiste di quei diritti che oggi ci stanno togliendo. In quegli anni, ancora una volta, in funzione antioperaia e antipopolare, i neofascisti furono la manovalanza di cui lo Stato si servì per piazzare le bombe sui treni e nelle piazze, per compiere stragi e omicidi, attaccare cortei e picchetti.
Ma i rapporti tra neofascisti e apparati dello Stato non si sono mai interrotti continuando a svilupparsi anche all’interno delle istituzioni democratiche tanto che negli ultimi vent’anni, abbiamo assistito al continuo sdoganamento di forze politiche, simboli e retaggi culturali dichiaratamente fascisti.
Inutile poi stupirsi o indignarsi se i fascisti fanno i fascisti: non c’era bisogno di un’inchiesta dei ROS di Napoli per ricordare quale fosse la loro natura. A ricordarcelo ci sono le aggressioni agli studenti in piazza Navona, l’assassinio del compagno Dax e la strage di piazza Dalmazia a Firenze, ma la lista sarebbe lunghissima.
Adesso però i neofascisti cercano addirittura il salto di qualità: non più manovalanza per il “lavoro sporco”, ma di nuovo, possibile alternativa di governo agli occhi di quel blocco sociale che faceva riferimento a PDL e Lega Nord.
Tutto questo, può apparire ad oggi, in Italia, come lontano e poco plausibile, ma sottovalutare quest’opzione sarebbe un errore. Si tratta di processi che possono subire accelerazioni improvvise e ciò che sta accadendo in Grecia con il partito di Alba Dorata deve suonare come campanello d’allarme. Mai abbassare la guardia.
Invitiamo tutti coloro che si riconoscono nei valori dell’antifascismo a scendere ancora una volta in piazza per ribadire che in questa città per i neofascisti non c’è spazio e per denunciare che l’agibilità politica di cui godono è solo l’effetto della complicità delle istituzioni cittadine e soprattutto dell’impunità e della protezione che ogni volta la Questura riserva loro.
Abbiamo sempre parlato dell’attualità dell’antifascismo e dei suoi valori, di quanto fosse importante la battaglia contro quel revisionismo che oggi sta diventando programma politico: non ci stupiscono quindi quelle dichiarazioni che, soprattutto in campagna elettorale, vorrebbero dipingere il fascismo come una rivoluzione che migliorò le condizioni delle classi popolari.
Niente di più falso. La presa del potere da parte del fascismo fu la sintesi dell’accordo tra liberali, padroni e banchieri, appoggiati dalla monarchia e dall’esercito, spaventati dall’avanzata delle forze socialiste. L’enfasi data oggi alle politiche sociali del fascismo non è altro che una stortura populista: l’Italia fascista si mosse come fecero altri paesi capitalisti, preparandosi dal punto di vista economico e sociale al colonialismo e la realtà fu quella di un popolo ridotto alla fame e al silenzio, costretto alla guerra nella produzione industriale prima e al fronte poi.
Chi decise di non abbassare la testa o più semplicemente non rispondeva ai canoni imposti dal fascismo venne purgato, pestato, torturato o fucilato. Altri vennero mandati al confino o direttamente deportati nei campi di concentramento.
Mussolini gestì da dittatore ogni tipo di opposizione, mettendo al bando qualsiasi libertà associativa, sindacale e politica mentre le organizzazioni dei lavoratori furono messe fuori legge. Secondo il fascismo, padroni e operai, avendo gli stessi interessi (sic!), avrebbero dovuto collaborare per il bene della nazione. E’ impressionante, quanto tutto questo, sebbene in forme, modi e tempi diversi, sia pericolosamente simile al nostro presente: basti pensare al “modello Marchionne” applicato in FIAT e che si sta allargando a tutto il mondo del lavoro e alla società in genere.
A liberarci dal fascismo furono i Partigiani sostenuti anche dal sostanziale appoggio dei contadini nelle campagne e degli operai nelle città. A liberarci furono quei compagni e compagne che non riuscirono a costruire la società che avrebbero voluto, ma che continuando a lottare anche nell’immediato dopoguerra passarono il testimone alle generazioni future.
Sin da subito lo Stato democratico si mostrò non meno incline all’uso della forza e della violenza poliziesca contro quei movimenti che soprattutto negli anni ’60 e ’70 dettero vita alle lotte che condussero alle conquiste di quei diritti che oggi ci stanno togliendo. In quegli anni, ancora una volta, in funzione antioperaia e antipopolare, i neofascisti furono la manovalanza di cui lo Stato si servì per piazzare le bombe sui treni e nelle piazze, per compiere stragi e omicidi, attaccare cortei e picchetti.
Ma i rapporti tra neofascisti e apparati dello Stato non si sono mai interrotti continuando a svilupparsi anche all’interno delle istituzioni democratiche tanto che negli ultimi vent’anni, abbiamo assistito al continuo sdoganamento di forze politiche, simboli e retaggi culturali dichiaratamente fascisti.
Inutile poi stupirsi o indignarsi se i fascisti fanno i fascisti: non c’era bisogno di un’inchiesta dei ROS di Napoli per ricordare quale fosse la loro natura. A ricordarcelo ci sono le aggressioni agli studenti in piazza Navona, l’assassinio del compagno Dax e la strage di piazza Dalmazia a Firenze, ma la lista sarebbe lunghissima.
Adesso però i neofascisti cercano addirittura il salto di qualità: non più manovalanza per il “lavoro sporco”, ma di nuovo, possibile alternativa di governo agli occhi di quel blocco sociale che faceva riferimento a PDL e Lega Nord.
Tutto questo, può apparire ad oggi, in Italia, come lontano e poco plausibile, ma sottovalutare quest’opzione sarebbe un errore. Si tratta di processi che possono subire accelerazioni improvvise e ciò che sta accadendo in Grecia con il partito di Alba Dorata deve suonare come campanello d’allarme. Mai abbassare la guardia.
Invitiamo tutti coloro che si riconoscono nei valori dell’antifascismo a scendere ancora una volta in piazza per ribadire che in questa città per i neofascisti non c’è spazio e per denunciare che l’agibilità politica di cui godono è solo l’effetto della complicità delle istituzioni cittadine e soprattutto dell’impunità e della protezione che ogni volta la Questura riserva loro.
SABATO 9 MARZO CORTEO ANTIFASCISTA
ORE 15.00 IN PIAZZA SAN MARCO
Da più parti, soprattutto in questa campagna
elettorale, si moltiplicano le dichiarazioni che dipingono il fascismo
come un movimento rivoluzionario che durante il ventennio ebbe a cuore
la politica sociale e migliorò le condizioni dei lavoratori. Niente di
più falso.
Questo scritto nasce proprio dall'esigenza di combattere sin da subito
questo ennesimo tentativo di riscrivere un pezzo della nostra
storia...la storia della classe lavoratrice.
FASCISTI E LAVORO…COME TI SFRUTTO MEGLIO!
Del fascismo conosciamo la natura dittatoriale, prevaricatrice, razzista e colonialista. Sappiamo anche che, dopo la prima guerra mondiale, nelle cicliche crisi del sistema capitalista i fascisti hanno sempre avuto un ruolo di complici nella negazione delle differenze di classe, con continui richiami “all'unità nazionale”, sia nella repressione delle lotte più avanzate dei lavoratori. Ma di contro, troppo spesso, dimentichiamo ciò che abbiamo ereditato dal fascismo in campo economico, lavorativo e sociale. La Carta del lavoro del 1927 è il punto di arrivo del percorso che il fascismo ha iniziato nel '22 mettendosi completamente a servizio del capitale industriale e della borghesia italiana.
Chi si ricorda, per esempio, che i contratti d'area e i salari differenziati tra regione e regione sono state una precisa richiesta degli industriali a Mussolini nel 1928? Non è forse questo uno dei cavalli di battaglia di alcuni sindacati di stato e di "illustri riformatori" come Monti e Ichino?
Diamo un occhio al comma 2 e 3 della Carta del Lavoro del 1927:
II - Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali, è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato. Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale.
III - L'organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato, ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, per cui è costituito: di tutelare di fronte allo Stato e alle altre associazioni professionali gli interessi; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria; di imporre loro contributi e di esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico.
Non si nota una certa assonanza tra il corporativismo fascista e la politica concertativa?
Vogliamo poi ribadire, con alcune date, la parabola “rivoluzionaria” del fascismo:
• 26 Ottobre del 1922. Alla vigila della “marcia su Roma” una delegazione della Confindustria guidata da Alberto Pirelli si reca da Benito Mussolini alla redazione del giornale “Popolo d'Italia”. Gli fanno presente che sarebbe gradito un intervento diretto del movimento fascista per risolvere “...i gravissimi danni derivanti dallo stato di confusionismo anarchico in cui versa il Paese.”
• 24 e 25 Maggio 1920. Dopo la bastonata elettorale del 1919 e in pieno Biennio Rosso, Cesare Rossi, vicesegretario del movimento fascista, durante il secondo congresso di Milano nel suo intervento detta la linea del movimento “rivoluzionario”: “...Dal momento che il proletariato sposa la causa del socialismo, non ha diritto alla nostra indulgenza...nell'attuale scontro tra proletariato e borghesia noi dobbiamo stare con la borghesia aiutandola a diventare interprete dei bisogni nazionali...il fascismo deve essere il partito della borghesia produttiva e professionale.”
I “rivoluzionari” fascisti non hanno fatto altro che da collante tra il grande capitale industriale-finanziario e la borghesia nazionale. Prima della presa del potere le sue milizie, con la complicità dello Stato, hanno garantito il graduale smantellamento delle poche conquiste che il proletariato era riuscito ad ottenere durante il biennio rosso. Nel momento in cui i fascisti prendono direttamente il potere, si mette in moto il progetto della formazione di un "nuovo" Stato con a capo il Partito unico della borghesia. In questo contesto si arriva alla stesura della “Carta del Lavoro” nel 1927, quando il Fascismo si fa Stato, che in campo economico e sociale affossa definitivamente qualsiasi tentativo di rivendicazione di un modello collettivista. Proprio a questo serve la “moderna” forma del corporativismo che mette al centro l'interesse dello Stato e quindi l'interesse di chi lo Stato sosteneva: padroni, banchieri e borghesi...i capitalisti!
FASCISTI E LAVORO…COME TI SFRUTTO MEGLIO!
Del fascismo conosciamo la natura dittatoriale, prevaricatrice, razzista e colonialista. Sappiamo anche che, dopo la prima guerra mondiale, nelle cicliche crisi del sistema capitalista i fascisti hanno sempre avuto un ruolo di complici nella negazione delle differenze di classe, con continui richiami “all'unità nazionale”, sia nella repressione delle lotte più avanzate dei lavoratori. Ma di contro, troppo spesso, dimentichiamo ciò che abbiamo ereditato dal fascismo in campo economico, lavorativo e sociale. La Carta del lavoro del 1927 è il punto di arrivo del percorso che il fascismo ha iniziato nel '22 mettendosi completamente a servizio del capitale industriale e della borghesia italiana.
Chi si ricorda, per esempio, che i contratti d'area e i salari differenziati tra regione e regione sono state una precisa richiesta degli industriali a Mussolini nel 1928? Non è forse questo uno dei cavalli di battaglia di alcuni sindacati di stato e di "illustri riformatori" come Monti e Ichino?
Diamo un occhio al comma 2 e 3 della Carta del Lavoro del 1927:
II - Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali, è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato. Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale.
III - L'organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato, ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, per cui è costituito: di tutelare di fronte allo Stato e alle altre associazioni professionali gli interessi; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria; di imporre loro contributi e di esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico.
Non si nota una certa assonanza tra il corporativismo fascista e la politica concertativa?
Vogliamo poi ribadire, con alcune date, la parabola “rivoluzionaria” del fascismo:
• 26 Ottobre del 1922. Alla vigila della “marcia su Roma” una delegazione della Confindustria guidata da Alberto Pirelli si reca da Benito Mussolini alla redazione del giornale “Popolo d'Italia”. Gli fanno presente che sarebbe gradito un intervento diretto del movimento fascista per risolvere “...i gravissimi danni derivanti dallo stato di confusionismo anarchico in cui versa il Paese.”
• 24 e 25 Maggio 1920. Dopo la bastonata elettorale del 1919 e in pieno Biennio Rosso, Cesare Rossi, vicesegretario del movimento fascista, durante il secondo congresso di Milano nel suo intervento detta la linea del movimento “rivoluzionario”: “...Dal momento che il proletariato sposa la causa del socialismo, non ha diritto alla nostra indulgenza...nell'attuale scontro tra proletariato e borghesia noi dobbiamo stare con la borghesia aiutandola a diventare interprete dei bisogni nazionali...il fascismo deve essere il partito della borghesia produttiva e professionale.”
I “rivoluzionari” fascisti non hanno fatto altro che da collante tra il grande capitale industriale-finanziario e la borghesia nazionale. Prima della presa del potere le sue milizie, con la complicità dello Stato, hanno garantito il graduale smantellamento delle poche conquiste che il proletariato era riuscito ad ottenere durante il biennio rosso. Nel momento in cui i fascisti prendono direttamente il potere, si mette in moto il progetto della formazione di un "nuovo" Stato con a capo il Partito unico della borghesia. In questo contesto si arriva alla stesura della “Carta del Lavoro” nel 1927, quando il Fascismo si fa Stato, che in campo economico e sociale affossa definitivamente qualsiasi tentativo di rivendicazione di un modello collettivista. Proprio a questo serve la “moderna” forma del corporativismo che mette al centro l'interesse dello Stato e quindi l'interesse di chi lo Stato sosteneva: padroni, banchieri e borghesi...i capitalisti!
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