La crisi in cui versa il sistema capitalista è ormai chiara e lampante. Una crisi che non nasce certo oggi ma che nei decenni passati è stata in parte “celata” sotto il manto di precise politiche monetarie e ristrutturazioni del ciclo produttivo, definita sistemica dagli stessi analisti finanziari europei.
La realtà ci restituisce un quadro di tendenza alla guerra: che questa poi si materializzi nello scontro all’interno degli organismi sovranazionali, nella Unione Europea, nella minaccia o nel vero e proprio scontro militare come oggi sta accadendo rispetto alla Siria e all’Iran, nella repressione sul piano interno, è comunque chiaro che gli stati imperialisti più forti tendono a scaricare gli effetti della crisi sui paesi più deboli i quali a loro volta impongo sacrifici alla classe lavoratrice pur di “rimanere nella partita”: basti pensare all’Europa, al ruolo di Francia e Germania, alle ricadute su paesi come la Grecia e pensare alla situazione in cui siamo noi.
L’Italia, infatti, non fa eccezione! Dopo le misure estive siamo arrivati alla fase attuale.
Il nascente Governo Monti, con la fiducia di quasi tutto l'arco parlamentare ad esclusione di alcune posizioni strumentali e populiste, fa registrare la convergenza della cosiddetta opposizione verso le politiche lacrime e sangue che si prospettano e il tentativo di nasconderla dietro il "governo tecnico", sfruttando la giusta sfiducia nei partiti istituzionali, non durerà a lungo.
Monti ha ricevuto l’incarico da Napolitano per le sue “competenze tecniche”. Competenze maturate all’interno degli istituti finanziari e delle commissioni dove ha operato fino ad oggi e che potremmo dire essere tra i responsabili dell'aggravamento della crisi stessa.
Il Governo Monti cercherà di fare quello che non è riuscito al governo precedente in tema di tagli, privatizzazioni, ulteriori attacchi alle pensioni, e così via.
A livello mondiale centinaia di migliaia di persone stanno però dimostrando di non voler accettare passivamente le imposizioni del capitale: dagli USA all’Asia, dall’Europa al Nord Africa movimenti di massa cercano di organizzarsi creando spazi di confronto e discussione, riallacciando rapporti sociali e politici, scendendo in piazza a manifestare la propria rabbia e indignazione, arrivando a determinare cambiamenti che fino a poco tempo fa sarebbero stati impensabili come la caduta e la cacciata di Mubarak e Ben Alì.
Anche in Italia un movimento composito e eterogeneo formato dalle innumerevoli esperienze di lotta e vertenze aperte sui territori sta cercando di dotarsi di momenti di confronto più ampi e rivendicando il proprio spazio politico.
All’interno di questo movimento si colloca uno spaccato di classe che inizia a credere che “la via d’uscita dalla crisi” non possa esser rappresentata dalla sopravvivenza del capitale a fronte di un aggravamento delle condizioni di chi la crisi la sta già pagando e esige il ribaltamento dei rapporti di produzione, economici e politici propri del capitalismo. Sono i lavoratori, gli studenti e i disoccupati che in questi mesi abbiamo visto protagonisti di lotte e mobilitazioni in difesa dei posti di lavoro, schierati contro la chiusura di stabilimenti e lunghi periodi di cassa integrazione e per la difesa del diritto alla studio.
Proprio in tal senso crediamo sia fondamentale iniziare a pensare che le iniziative territoriali, come per esempio la resistenza dei lavoratori ATAF contro la privatizzazione e la lotta contro i licenziamenti degli operai del consorzio Safra dei magazzini Esselunga nel milanese, come quelle nazionali, a partire proprio dagli scioperi generali, debbano essere un momento in cui l’obiettivo sia quello di ricucire la frammentazione di queste esperienze per far fronte ad una situazione che andrà sempre più aggravandosi e che presto farà dimenticare perfino l’ultimo brindisi di chi, anche giustamente, ha alzato i calici alla notizia delle dimissioni di Berlusconi.
Centro Popolare Autogestito Firenze Sud
La realtà ci restituisce un quadro di tendenza alla guerra: che questa poi si materializzi nello scontro all’interno degli organismi sovranazionali, nella Unione Europea, nella minaccia o nel vero e proprio scontro militare come oggi sta accadendo rispetto alla Siria e all’Iran, nella repressione sul piano interno, è comunque chiaro che gli stati imperialisti più forti tendono a scaricare gli effetti della crisi sui paesi più deboli i quali a loro volta impongo sacrifici alla classe lavoratrice pur di “rimanere nella partita”: basti pensare all’Europa, al ruolo di Francia e Germania, alle ricadute su paesi come la Grecia e pensare alla situazione in cui siamo noi.
L’Italia, infatti, non fa eccezione! Dopo le misure estive siamo arrivati alla fase attuale.
Il nascente Governo Monti, con la fiducia di quasi tutto l'arco parlamentare ad esclusione di alcune posizioni strumentali e populiste, fa registrare la convergenza della cosiddetta opposizione verso le politiche lacrime e sangue che si prospettano e il tentativo di nasconderla dietro il "governo tecnico", sfruttando la giusta sfiducia nei partiti istituzionali, non durerà a lungo.
Monti ha ricevuto l’incarico da Napolitano per le sue “competenze tecniche”. Competenze maturate all’interno degli istituti finanziari e delle commissioni dove ha operato fino ad oggi e che potremmo dire essere tra i responsabili dell'aggravamento della crisi stessa.
Il Governo Monti cercherà di fare quello che non è riuscito al governo precedente in tema di tagli, privatizzazioni, ulteriori attacchi alle pensioni, e così via.
A livello mondiale centinaia di migliaia di persone stanno però dimostrando di non voler accettare passivamente le imposizioni del capitale: dagli USA all’Asia, dall’Europa al Nord Africa movimenti di massa cercano di organizzarsi creando spazi di confronto e discussione, riallacciando rapporti sociali e politici, scendendo in piazza a manifestare la propria rabbia e indignazione, arrivando a determinare cambiamenti che fino a poco tempo fa sarebbero stati impensabili come la caduta e la cacciata di Mubarak e Ben Alì.
Anche in Italia un movimento composito e eterogeneo formato dalle innumerevoli esperienze di lotta e vertenze aperte sui territori sta cercando di dotarsi di momenti di confronto più ampi e rivendicando il proprio spazio politico.
All’interno di questo movimento si colloca uno spaccato di classe che inizia a credere che “la via d’uscita dalla crisi” non possa esser rappresentata dalla sopravvivenza del capitale a fronte di un aggravamento delle condizioni di chi la crisi la sta già pagando e esige il ribaltamento dei rapporti di produzione, economici e politici propri del capitalismo. Sono i lavoratori, gli studenti e i disoccupati che in questi mesi abbiamo visto protagonisti di lotte e mobilitazioni in difesa dei posti di lavoro, schierati contro la chiusura di stabilimenti e lunghi periodi di cassa integrazione e per la difesa del diritto alla studio.
Proprio in tal senso crediamo sia fondamentale iniziare a pensare che le iniziative territoriali, come per esempio la resistenza dei lavoratori ATAF contro la privatizzazione e la lotta contro i licenziamenti degli operai del consorzio Safra dei magazzini Esselunga nel milanese, come quelle nazionali, a partire proprio dagli scioperi generali, debbano essere un momento in cui l’obiettivo sia quello di ricucire la frammentazione di queste esperienze per far fronte ad una situazione che andrà sempre più aggravandosi e che presto farà dimenticare perfino l’ultimo brindisi di chi, anche giustamente, ha alzato i calici alla notizia delle dimissioni di Berlusconi.
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